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Dalla direttiva europea dei tessuti alla normazione PMA

Salvo Reina

sottotitolo : Come conformare il Centro di Procreazione medicalmente Assistita

L’attività di procreazione assistita pur non essendo in nessun senso un trapianto (Il trapianto è “un intervento chirurgico che prevede la sostituzione di una componente di un organismo vivente, in quanto malfunzionante, con l’omologa, funzionante, espiantata da altro organismo”) presenta alcuni problemi in comune con il mondo dei trapianti di cellule e tessuti: rischio di mix up (scambio di gameti o embrioni) contaminazione di e tra campioni e quindi potenzialmente tra pazienti contaminazione degli operatori da parte di campioni infetti danneggiamento di campioni (gameti ed embrioni) per inappropriate condizioni ambientali (aria, ph, temperatura, umidità, tossicità etc) vedremo oltre più in dettaglio quali potrebbero essere questi eventi, ma la loro semplice possibilità teorica di accadimento ha portato tutta la nostra attività sotto il controllo della direttiva.

In realtà quanto previsto dalla direttiva non è lontano dal nostro modo di lavorare odierno. Semplicemente molti passaggi vengono codificati ma soprattutto se ne richiede la dimostrabilità e la tracciabilità. La recente edizione delle Good Laboratory Practices dell’ESHRE, che dovrebbe essere il riferimento per chiunque pratichi PMA, è già stata integrata con le richieste della direttiva e sul tempo medio lungo è probabile che non troveremo così bizzarre le modalità operative che oggi ci lasciano perplessi.

Non pretendendo di sostituirci alla lettura della norma, cerchiamo di individuare i punti “chiave” per gli operatori dei centri: Prevenzione delle infezioni tra partners Il primo fine della direttiva nel campo PMA è impedire la trasmissione di malattie attraverso le tecniche. L’annesso III del d.lgs.10/2010 prevede l’obbligo di eseguire esami sierologici entro i 90 giorni precedenti la “donazione”dei gameti ed il documento dell’osservatorio chiarisce poi che questi esami hanno validità di 6 mesi.

E’ escluso dall’obbligo l’utilizzo di seme non lavorato nè conservato, che oggi nessuno certamente pratica, mentre è possibile escludere i casi di inseminazione intrauterina omologa con seme “non destinato alla conservazione, a condizione che il centro PMA possa dimostrare che il rischio di contaminazione incrociata e di esposizione del personale sia stato scongiurato tramite il ricorso a procedure convalidate”. Visto quanto è complicato convalidare tali procedure, ci sembra più pratico eseguire comunque gli esami, anche ai fini di una tutela medico legale. Gli esami da eseguire sono Anti-HIV-1,2, HBsAg, Anti-HBc, HCV Ab, oltre agli anticorpi anti HTLV-I (per donatori che vivono in aree ad alta incidenza o ne sono originari o i cui partner sessuali provengono da tali aree, ovvero qualora i genitori del donatore siano originari di tali aree). In determinate circostanze, possono risultare necessari ulteriori esami(es CMV).

I risultati positivi non impediscono necessariamente la donazione del partner, occorrerà però predisporre un sistema di conservazione separata dei gameti ed embrioni. Non siamo quindi molto lontani da quanto richiesto dalle linee guida della legge 40.

Sistema Gestione qualità E’ un capitolo fondamentale e viene trattato a parte nel successivo articolo di questa monografia. Requisiti strutturali e Qualità dell’aria Il laboratorio dovrebbe essere in grado di garantire che le fasi di lavorazione avvengano in aria grado A ,secondo la classificazione delle Good Manufacturing Practice, con sottofondo di aria grado D. Nella nostra pratica lavorare sotto cappa non è sempre possibile, ma la direttiva prevede eccezioni quando:

a) si applichi un procedimento convalidato di inattivazione microbica o di sterilizzazione finale, oppure

b) sia dimostrato che il contatto con un ambiente di grado A ha effetti nocivi sulle proprietà richieste per i tessuti o cellule di cui si tratta; oppure

c) sia dimostrato che le modalità e il percorso di applicazione di tessuti o cellule al ricevente comportano un rischio di trasmettere al ricevente infezioni batteriche o fungine, notevolmente inferiore rispetto al trapianto di cellule e tessuti; oppure

d) non sia tecnicamente possibile eseguire il procedimento richiesto in un ambiente di grado A (ad esempio perché nella zona di lavorazione occorrono attrezzature specifiche non del tutto compatibili con il grado A).

Sotto le condizioni appena enunciate, alcune tipicamente applicabili alla PMA, il laboratorio dovrà comunque validare le proprie procedure. E’ evidente che il sottofondo grado D dovrà comunque essere garantito. Anche in questo caso i requisiti comuni del gruppo tecnico interregionale del 12/07/2004 già prevedevano condizioni ambientali controllate sovrapponibili a quelle della direttiva. Tracciabilità e codifica A ciascuna campione di gameti deve corrispondere un numero identificativo unico (ID number).

Tutti i gameti ed embrioni e tutte le attrezzature e i materiali che possono interessare la qualità e la sicurezza devono essere tracciabili in ogni fase del processo. I dati di tracciabilità devono essere conservati per 30 anni. Tutte le registrazioni di laboratorio, dati grezzi compresi, critiche per la sicurezza e la qualità dei tessuti e cellule devono essere conservate, per garantirne l’accessibilità, per almeno 10 anni dopo la data di scadenza, l’uso clinico o lo smaltimento La Commissione sta ancora lavorando sui requisiti per un unico sistema di codifica UE. Nel frattempo ai centri è chiesto di avere una loro codifica propria. Questo basta per essere in linea con la legge. Notifica di eventi e reazioni avverse La definizione dei singoli eventi e delle singole reazioni non è ancora uniforme per tutti i paesi. Riportiamo quindi la definizione generale riportata nella direttiva: Evento avverso grave: qualunque evento negativo collegato con l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, lo stoccaggio e la distribuzione di cellule o tessuti che possa provocare la trasmissione di patologie, la morte o condizioni di pericolo di vita, di invalidità o incapacità dei pazienti, o ne possa produrre o prolungare l’ospedalizzazione o lo stato di malattia.

Reazione avversa grave: è una risposta non voluta nel paziente, compresa una malattia trasmissibile, connessa con l’approvvigionamento o l’applicazione di cellule o tessuti che provochi la morte, metta in pericolo di vita, provochi invalidità o incapacità dell’interessato, o ne produca o prolunghi l’ospedalizzazione o lo stato di malattia.

Cerchiamo di immaginare una possibile lista di avversità, alcune delle quali sono realmente,anche se raramente , accadute, mentre altre sono soltanto possibili in teoria. Gli eventi avversi della nostra attività si potrebbero suddividere in eventi legati alla crioconservazione e indipendenti da questa; nella prima categoria potrebbero rientrare: incidenti al personale dovuti alla manipolazione dell’azoto, danni a gameti ed embrioni per tecniche di manipolazione inappropriate o disfunzioni delle apparecchiature, danni al materiale crioconservato durante l’audit clinico annuale dei criocontenitori, perdita di materiali nelle tank, o loro inutizzabilità a causa della perdita o illeggibilità delle etichette o mancanza di registrazione dei dati ed infine contaminazioni tra campioni per fallimmento delle misure di contenimento dei materiali infetti.

Nel secondo gruppo si annoverano: perdite di gameti o embrioni per disfunzioni delle apparecchiature (es incubatori), contaminazione batterica, distribuzione di materiali infetti o contaminati, anche se non utilizzati ed infine l’evento più eclatante, cioè la nascita di un bambino geneticamente non correlato ad uno o entrambi i genitori a causa di uno scambio di gameti o embrioni (mix up). Le reazioni avverse potrebbero essere: la trasmissione di malattie virali o batteriche da gameti ed embrioni, la nascita di un bimbo affetto da una patologia genetica dopo una inseminazione eterologa con un donatore non sufficientemente studiato, o dopo una diagnosi preimpianto che aveva escluso la patologia. In ultimo, con il ritrapianto di parti di ovaio crioconservate per preservare la fertilità prima di terapie antineoplastiche, la recidiva neoplastica da cellule tumorali presenti nell’ovaio rappresenterebbe una reazione avversa grave.

Allo stato attuale la legge prevede che eventi e reazioni avverse vengano comunicati al Centro Nazionale Trapianti, all’Istituto superiore di Sanità ed all’autorità regionale. responsabilità e personale Il responsabile del centro deve necessariamente essere un medico specialista in Ginecologia . Il suo ruolo consiste nell’assicurare che tutte le attività che vanno dall’approvvigionamento alla distribuzione di gameti, zigoti ed embrioni vengano eseguiti nel rispetto della legislazione vigente, inoltre è garante della validazione dei gameti, zigoti ed embrioni e dell’avviamento delle procedure in caso di reazioni ed eventi avversi gravi.

Il personale deve essere qualificato, il ruolo di ognuno deve essere definito e la preparazione scientifica deve essere aggiornata e verificata . organizzazione della attività La legge definisce inoltre gli aspetti riguardanti la identificazione, validazione, ispezione delle attrezzature, le caratteristiche ed il controllo dei materiali d’uso (che devono essere marcati CE) nonchè le modalità di prelievo, lavorazione, stoccaggio, criopreservazione, controllo dei materiali biologici in stoccaggio e rilascio ed effettuazione delle registrazioni


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Autorizzazioni e ispezioni : chi fa cosa ?

Salvo Reina

L’autorizzazione dei centri ed il loro eventuale accreditamento restano prerogativa regionale. In teoria le singole regioni dovrebbero inserire i requisiti della direttiva tra quelli richiesti per l’autorizzazione alla pratica della PMA. Ai fini dell’attuazione del decreto legislativo 191/2007 e del decreto 16/2010 il Ministero della salute e le Regioni si avvalgono della collaborazione del Centro nazionale trapianti (CNT). Sono fatte salve le competenze dell’Istituto superiore di sanità di cui alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, cioè il ruolo del Registro Nazionale PMA.

Due sono i momenti fondamentali in cui regioni e CNT saranno gli interlocutori per i centri PMA: la comunicazione degli eventi e reazioni avverse e le ispezioni periodiche. In pratica quindi ispettori regionali condurrano le verifiche biennali sulla attività, struttura ed organizzazione dei centri PMA, affiancati da personale del CNT.

Le ispezioni avranno come risultato una relazione su eventuali scostamenti dalla norma , con relative richieste di azioni correttive, salvo il rilievo di anomalie talmente gravi da mettere seriamente a rischio la sicurezza dei pazienti o degli operatori; in ogni caso la relazione sarà inviata alla regione e sarà la regione a decidere eventuali interventi sulla attività del centro.

Allo stato attuale il meccanismo delle ispezioni è ancora in costruzione. La maggior parte delle regioni non ha ancora personale formato per effettuare le ispezioni ed i centri stessi hanno bisogno di tempo per adeguarsi alla normativa.

Il CNT ha quindi organizzato da un lato corsi per gli ispettori regionali (ne sono stati effettuati per ora due) e per gli operatori dei centri PMA (il primo corso pilota rivolto agli embriologi si è effettuato in Novembre). Sulla base di affermazioni ripetute dai responsabili stessi del CNT crediamo che almeno all’inizio il ruolo delle ispezioni sarà prevalentemente “costruttivo” piuttosto che inquisitorio.

E’ interesse comune delle istituzioni e dei centri che la crescita in qualità e sicurezza passi prevalentemente per una crescita di consapevolezza ed autonomia dei centri; questo potrà garantire che la norma venga introiettata e messa in atto in modo virtuoso.


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Storiografia ed evoluzione della normazione in materia di PMA.

Mauro Costa

Anno 2004. Il parlamento europeo emana la direttiva 23 , diventata poi nota come “Tissue directive”.

L’idea della direttiva prende le mosse da un convegno tenutosi a Porto in cui si delineavano alcune caratteristiche peculiari dell’utilizzo a scopo terapeutico umano di cellule e tessuti in confronto ai trapianti d’organo: non vi è carenza di materiale (tranne che per casi specifici limitati) tessuti e cellule possono essere conservati per un periodo lungo spesso ci sono trattamenti alternativi il trapianto di tessuti e di alcuni tipi di cellule non è solitamente salvavita Dopo una lunga discussione la CE decide, per alcuni in modo sorprendente, di includere le cellule ed i tessuti riproduttivi nella stessa normativa.

La direttiva “madre” è seguita nel 2006 da due direttive tecniche, che chiariscono le modalità in cui le nuove norme dovranno essere applicate. L’Italia recepisce la direttiva madre nel 2007 con il Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n.191 e le due direttive tecniche in un unico provvedimento, il Decreto Legislativo 25 gennaio 2010, n.16. (Tabella I). A scanso di equivoci dobbiamo quindi subito chiarire che la direttiva dei tessuti è ora legge in vigore a tutti gli effetti. Fin dal 2004 la Società Europea di Embriologia e Riproduzione Umana (ESHRE) prende coscienza che l’applicazione della direttiva nella sua versione iniziale potrebbe causare gravi disagi ai centri ed è poco adatta alla realtà della PMA.

Insieme all’ente di controllo inglese HFEA (The Human Fertilization and Embryology Authority) nel Maggio 2005 fonda un consorzio che prevede la partecipazione di un medico, un embriologo ed un legislatore per ogni paese della comunità europea, l’ EACC (European Assisted Conception Consortium). Il consorzio si pone come interlocutore della Commissione europea e partecipa attivamente alla discussione sulle modifiche da apportare al testo delle direttive tecniche, per renderle più adatte alla realtà della PMA.

Con un meccanismo simile , dopo un intervento delle società scientifiche, in Italia viene stabilito prima informalmente e poi per decreto ministeriale un gruppo di lavoro (Osservatorio sull’applicazione del D.Lgs 191 /2007 alla PMA) che genera un documento sui requisiti dei centri PMA per la conformità alla direttiva. Al gruppo partecipano rappresentanti del Ministero, del Centro Nazionale trapianti, dell’ISS, delle Regioni ed un gruppo di ginecologi tra cui l’autore di questo articolo (in quanto rappresentante italiano nell’EACC). Il frutto del lavoro del gruppo è un draft, in cui si adattano le norme dei decreti sopraddetti alla realtà italiana dei centri PMA, che dovrebbe poi passare alla conferenza Stato /Regioni e diventare in sostanza la linea guida per l’applicazione dei d:lgs 191 /2007 e 16/2010.

I requisiti coprono le attività di PMA dal momento del prelievo dei gameti alla lavorazione, alla eventuale conservazione fino al momento del transfer. L’applicazione clinica è esclusa (fatto salvo il follow up per la vigilanza) Questo draft già da ora viene utilizzato nei corsi per gli ispettori regionali che dovranno verificare la rispondenza dei centri alle nuove norme.

Nel frattempo all’interno della Unione Europea si è sviluppato un progetto per la standardizzazione dei principi e della pratica per le ispezioni e la certificazione degli istituti di tessuti (Eustite) che ha definito la current “Best Practice”, formulato linee guida per le ispezioni e sviluppato un percorso formativo ottimale per gli ispettori. A corollario di questo è partito un secondo progetto (SOHO V&S) per lo sviluppo di un modello per la notifica e l’indagine di reazioni ed eventi avversi gravi associati alla qualità e sicurezza di tessuti e cellule. Le ispezioni condotte in Italia seguiranno quindi uno schema comune a tutta l’Europa.


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Impatto economico della qualità e costo della sicurezza

 

 Salvo Reina

Tipicamente trattato per ultimo affrontiamo l’argomento del costo della gestione della qualità e della sicurezza; si tratta di un punto tanto ineludibile quanto non quantificabile in modo certo. Infatti, dopo alcuni decenni di esperienza nel campo, si arriva alla conclusione che il modo più corretto di valutare questo sforzo è quello di rivoltare la prospettiva.

Un responsabile accorto non ritiene utile chiedersi quanto costa conformarsi alle prescrizioni legali, piuttosto si chiede quanto costa non farlo. Quindi, se appare evidente che non esiste un modo univoco e/o migliore di conformarsi alle prescrizioni legali, lo stesso vale per i costi e spendere di più non necessariamente vuol dire più certezza di conformità.

La prima è più importante considerazione nel dimensionare gli aspetti economici parte dalla rivalutazione di ciò che un CPMA già ha. Di fatto i CPMA si presume che già adottino un elevato livello di professionalità e buona prassi per ragioni inerenti la professionalità e il business di questo ambito. Quindi un costo di analisi degli “assets” e delle risorse già disponibili, porta a definire per differenza solo gli elementi effettivamente nuovi e/o necessari. Praticamente, un sopralluogo preliminare deve inventariare e classificare la strumentazione, gli spazi, e le risorse professionali ereditandone la documentazione correlata (Es. cv e lettera incarico per un biologo, planimetria e disegni di impiantistica per area alaboratorio ecc.).

La fase di sopralluogo ha un costo sia che sia “fatta in casa” e sia che sia condotta da un consulente esterno; essa può durare qualche ora o dei giorni in ragione dello sforzo necessario al reperimento delle informazioni. Maggiore è il livello di accuratezza di questa fase, più semplice e breve sarà la progettazione e la redazione del SDQS. In sintesi, e con una metafora termodinamica, potremo dire che il punto di equilibrio ergonomico tra massima economia di gestione del CPMA ed la più alta efficienza nella resa misurabile del servizio (Es. n. gravidanze cliniche) è bilanciato dalla entropia (tutte le attività e lavorazioni dei cicli) e dalla entalpia (investimenti assets e competenze professionali) del sistema.

Se volessimo addirittura immaginare un volume fisso di casi trattati nella unità di periodo, l’analogia termodinamica sussiste e potrebbe essere anche misurata come processo “Isocoro”. Semmai lo si ritenesse utile, sarebbe possibile confrontare in modo oggettivo i centri di tutta Italia.


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Cosa manca alla Check-list del Responsabile PMA ?

Salvo Reina

Inevitabilmente, dopo aver scorso uno ad uno i requisiti previsti dai sopralluoghi di ispezione, un responsabile si pone un quesito : cosa manca ? In effetti, valutando il Dlg16/10 e confrontandolo con le linee guida del CNT, si notano alcune singolarità. E’ indubbio che un responsabile di struttura si prepara per la ispezione in ragione di ciò che viene richiesto, tuttavia ci sono alcuni significativi disallineamenti che per completezza citiamo di seguito.

La validazione : E’ largamente acquisito che la validazione rappresenti la prova oggettiva della esattezza di una evidenza. Nell’ambito della PMA, e delle prescrizioni che la regolano, è meglio riferisci ai metodi di validazione.

I fondamenti scientifici delle tecniche di procreazione medicalmente assistita sono presenti in letteratura quale prova oggettiva e terza, ma nel quadro normativo e nei criteri di valutazione del livello di soddisfazione delle misure di controllo adottate, un CPMA deve ricorrere ad una autovalutazione.

Ridimensionando per motivi espositivi, possiamo dire che purchè esposte e giustificate, le misure organizzative e i termini di riferimento del proprio sistema di qualità e sicurezza possono essere auto-definite. Il maggior problema della validazione in PMA riguarda alcuni aspetti pratici quali, ad esempio, la valutazione del particolato dell’aria nell’area di laboratorio, l’uso del micropanipolatore fuori dalla cappa a flusso laminare verticale. Queste attività, non possono riferirsi ad un gold standard quindi sono necessariamente auto-referenziali; nel caso di un CPMA che fa riferimento ad una sovra-gestione ospedaliera, questi compiti sono svolti da un service esterno.

Ancora, consideriamo la pressione parziale di CO2 in un incubatore (peraltro discussa tra le scuole di pensiero), è chiaro che un registro di benchmark non ha il significato di una validazione. Per la validazione delle POS, sappiamo che se queste cambiano, anche il sistema qualità e le prassi correlate cambiano, ma questo di per sé non è una validazione.

Saranno i cicli successivi di verifica a fornire una misura della affidabilità di una prassi, quindi anche in questo caso per una ispezione il miglior sistema di riferimento rimane il proprio. In conclusione, un ciclo di audit fornisce di fatto la validazione dei propri metodi in ragione di quelli precedenti perché semplicemente, ogni prassi operativa è peculiare e non avrebbe senso confrontarla con quella di altri.

Contaminazione crociata : Molta attenzione è richiesta nel rilevamento e la comunicazione degli eventi avversi.

Vale la pena di puntualizzare che esiste uno sblilanciamento oggettivo tra le misure proattive per scongiurare una cross-contaminazione e la valutazione microbiologica di indennità del campione. Rileviamo che alcuni germi citati nel Dlgs 16/10 (All. II p.3). non sono riportati nelle linee guida dell’CNT. Rispetto ai marcatori biologici considerati (All. II p.2.1), da un punto di vista microbiologico esistono alcuni dubbi. Al punto 3.2 del Dlgs16/10 sono indicati 90 gg come il limite inferiore della finestra utile di controllo prima della donazione.

Considerando il gruppo di germi di cui in All. II (pensiamo ai soli retrovirus), i termini sembrano piuttosto discutibili; peraltro, la severità e le modalità di controlli diagnostici è condizionata alla precoce anamnesi del medico (Art. 4, lettera b e Art. 5, comma 2).

Riferendoci a ciò che di pubblicato esiste (letteratura piuttosto limitata) nessuna contaminazione tra vials e vials è dimostrata; dopo tutto, dove riscontrata, la presenza di germi (gram negativi e positivi, miceti, protozoi e micoplasmi) non ha compromesso la fertilizzazione in vitro. Daltra parte, con una riflessione intellettualmente onesta, nessuno si stupisce che in natura la riproduzione umana avviene senza alcun riguardo al grado di sepsi.


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Le registrazioni : Datazioni, attribuzione dei ruoli ed etichettatura di materiali e strumentazione

Salvo Reina

 

Quale che sia il sistema di codifica della donazione e/o campione, si è detto che questa va associata e correlata ai luoghi, ai materiali e alle attività lungo tutto il processo di lavorazione. Praticamente, questo viene svolto con le registrazioni, che altro non sono che la modulistica compilata da medici, laboratoristi ed operatori che svolgono le attività di passaggio tra le fasi.

Evidentemente registrazioni e etichettatura (nei termini introdotti precedentemente), sono reciprocamente vincolati e referenziati. E’ proprio la loro associazione nello stesso cartaceo che correla le attività ai ruoli e al momento del processo. Prendiamo ad esempio un log-book dell’area di criopreservazione/stoccaggio (tipologia di documento citato nella Tabella I). Dando per ovvia la scrittura vetropersistente sui contenitori, dobbiamo scrivere a) un riferimento temporale, b) un riferimento dell’operatore (ed eventuale conpresenza medica se prevista), c) un riferimento strumentale (tank3B o Bidone5A) e un riferimento topologico (Area CrioLAB3)

In modo necessariamente ridotto, possiamo pensare ad una etichetta come un segnaposto di una determinata area, per un determinato operatore, che usa un determinato strumento/materiale, ad un certo momento operativo. Questa triangolazione è stata definita e formalizzata in un manuale operativo, spiegata in una procedura e, per l’appunto, verbalizzata in un registro. Le registrazioni, pertanto, rappresentano la formalizzazione di un sistema di tracciabilità attivo e in sede di controllo, un ispettore esperto ne controlla la congruenza incrociando i riferimenti.

Una completa trattazione di questo argomento è fuori dai limiti di questo articolo, tuttavia la Tabella V riassume una check-list (lista di riscontro per audit). Scorrendola esauriamo i punti critici di controllo (Critical Control Points, CCP – HACCP) in occorrenza dei quali è opportuno avere un corrispondente documento, sia esso una POS, un verbale, un allegato o quant’altro utile a validare l’attività cui si fa riferimento.

Naturalmente la lista della Tabella V, esemplificativa e non esaustiva, si riferisce anche ad attività e fasi che potrebbero non essere applicabili per un CPMA. Per esempio, se un centro in riferimento alla applicazione della Legga 40 esclude la lavorazione di campioni sieropositivi già in sede di intervista della coppia, è chiaro che per lo stoccaggio e la criopreservazione non si considereranno le registrazioni di un contenitore di azoto altenativo perchè semplicemente non esiste.


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La gestione delle avversità in PMA

Salvo Reina

 Avere un sistema di gestione della sicurezza non significa che nulla può accadere, al contrario significa che sappiamo che un evento avverso è una certezza con una probabilità di accadimento. Si tende a considerare sempre “remota” questa probabilità, ma la occorrenza del fatto, se registrata in termini pro-attivi e virtuosi, comporta la primaria ed elementare forma di qualità perché indica la valutazione preventiva di una reazione. L’ Art. 11 Dlg191/07 e l’Art. 10 del Dlgs 16/10 sono orientati alla notifica tempestiva e alle misure reattive Quindi, più che il dimostrare che non ci sono problemi, il CPMA deve dimostrare di avere un efficace sistema di comunicazione e di contromisure di questi. Peraltro, un sistema reattivo di registrazioni, non solo permette di affrontare con prontezza una situazione per la quale è stata prevista una procedura, ma anche di valutare un tracciato di miglioramento.

Tutti gli schemi normativi di qualità (volontari e contrattuali), comportano un audit metrologico dei parametri di sistema (Statistical Process Control, SPC). Il Dlg 191/07 non prevede la definizione di indici di performance specifici per gli eventi avversi tuttavia fa riferimento chiaro alla necessità di svolgere periodiche verifiche (audit interni) grazie alle quali valutare scostamenti della performance del sistema. Naturalmente queste valutazioni devono essere documentate ed i registri delle misurazioni (con cadenza arbitraria ma coerente), devono riferirsi a corrispondenti procedure scritte nelle quali riportare anche eventuali azioni correttive e preventive.

Non trascurabile il fatto che la eventuale attuazione di misure adeguative sono esse stesse documentate ed essendo necessario monitorarne l’efficacia, esisteranno anche documenti di registrazione (modulistica o prestampati) relativi alla verifica dei risultati di cambiamento. Molto utili sono gli allegati del Dlg 16/10 e della Linee Guida del CNT che riportano la modulistica e i fac simile per la notifica, le reazioni e le conclusioni nei casi di avversità.

Ricordiamo infine che gli indici di performance vanno riconsiderati anche in ragione dell’aggiornamento scientifico e tecnologico. La Tabella IV riporta alcuni indici di esempio con relativa sinopsi di computo.

 

Coerenti con lo stile pratico adottato, affrontiamo un altro tema di grande preoccupazione che riguarda il SQS e la sua documentazione. Il titolo di questo paragrafo allude in modo provocatorio alla incidenza di eventi teoricamente improbabili, che nella realtà hanno una frequenza superiore. In qualità esistono molte tecniche e modelli di valutazione dei rischi che sono in grado di stimare probabilità di accadimento e impatti di eventi indesiderati. Anche in occasione di congressi sulla PMA e in alcuni libri di IVF sono citati complessi metodi di valutazione (FTA, FMEA, QDF ecc ); si tratta di ambiti culturali ingegneristici che valutano costruzioni e apparati industriali.

Nella PMA, nessun riferimento specifico è presente nelle normazioni (legali o meno);, eppure alcuni Responsabili di Struttura, forse confusi o mis-informati, invocano addirittura la risk analisys e il risk management (peraltro domini molto diversi). Chi scrive è dell’avviso che per le esigenze di un responsabile di CPMA, sia poco realistico spendere tempo e risorse in metodologie di controllo sofisticate da allegare al documentale. Dove necessario, per valutare una non conformità e comunicarla efficacemente è sufficiente una metrologia elementare ad esempio usando una scala di valori per attributo (molto / poco / assente); in seguito, sarà il follow-up di queste valutazioni che potrà essere espresso quantitativamente (contingenze, incidenze e/o trends). Naturalmente nel registro considerato di volta in volta deve trovarsi un sinottico descrittivo e/o una legenda a piè pagina che spieghi più in dettaglio. Né le linee guida del CNT, né il Dlgs 191/07 prescrivono valutazioni quantitative e/o probabilistiche; come visto in precedenza, in mancanza di modelli di riferimento e/o casistiche ufficiali, un responsabile può validare i propri riscontri anche solo sulla base delle prioprie casistiche storiche, considerando di fatto plausibili e accettabili le probabilità di eventi negativi. Di fatto troviamo un riferimento preciso alla “analisi dei rischi documentata”, solamente al paragrafo del “Rilascio di cellule ed embrioni” (Sez. E p. 10, ), e implicitamente lascia al Responsabile che la approva la facoltà di stilarla secondo propri criteri.

Diversamente dal puntuale riferimento alla “Analisi di rischio”, la quasi totalità delle prescrizioni lungo le fasi della PMA (legali o meno), richiamano in modo ridondante all’obbligo di “minimizzazione del rischio”. In relazione al contesto considerato, la minimizzazione del rischio può essere riferita ad una infrastruttura, ad una attività, ai reagenti (validati se prodotti internamente) e al campione donato (immunità sierologica). Tale principio è sempre orientato a scongiurare la contaminazione sia essa crociata (campione-campione), sia essa incidentale (operatore/lavorante) o gestionale (trasporto terzializzato)


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Quale qualità e quale sicurezza

Salvo Reina

Nella accezione corrente e largamente acquisita, il termine “Qualità” è concettualmente esteso e tuttavia univocamente interpretato. Diversamente, il termine “Sicurezza” è suscettibile di accezioni diverse in ragione del contesto; nella cultura anglosassone, infatti, si discrimina tra Security e Safety. In effetti, oltre agli obblighi e alle misure necessarie per la qualità e la sicurezza, il responsabile del CPMA trova nel Dlg. 191/07 anche i riferimenti relativi al trattamento dei dati “sensibili” ai sensi del Dlgs196/03 più noto come Codice della Privacy (Art. 14) e alla salubrità ambientale riferita a coloro che operano nella struttura secondo il Dlg.81/10 (legge per la sicurezza dei lavoratori ex Dlg.626/94).

Questi due temi, ognuno dei quali meriterebbe una vasta trattazione, devono di fatto integrarsi armoniosamente nel sistema qualità del CPMA. Di seguito vediamo le maggiori implicazioni e suggeriamo alcune soluzioni pratiche ai fini della documentazione. Consideriamo quindi le misure del Dlgs 196/03, del Dlg 191/07 (Art. 14) e quelle adottate per la prevenzione e la protezione della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro come da Dlgs 81/08 (Sez A, p. 5 delle linee guida CNT).

Codice sulla Privacy

Che siano su supporto cartaceo o informatico, i dati “sensibili” (per brevità dati sanitari e giudiziari della persona) dei soggetti donatori o pazienti trattati, devono essere protetti e preservati. Anche queste sono prescrizioni legali che se disattese e contestate possono compromettere la attività di un centro e prefigurano un quadro sansionatorio. In effetti, non è molto coerente pensare di avere registri per la criopreservazione, un Log-Book per la strumentazione laboratoristica, un pennarello indelebile (paillette e vials) se poi non abbiamo stilato un documento di frontiera per il trattamento delle informazioni “sensibili”. Attenzione a interpretare la ridotta enfasi posta nel Art. 14 del Dlg191/07 con un riferimento generico alla tutela della riservatezza; non si tratta di una scelta superficiale semplicemente il Codice della Privacy è legge, come tale si considera implicitamente applicato. Anche pensando ad una società di consulenza che fornisca un sistema ISO, il raggiungimento di una certificazione contrattuale è possibile solo per soggetti che applichino tutte le prescrizioni di leggi. E’ un requisito stesso per la candidatura al pre-audit di certificazione.

Nella pratica, chiunque operi in ambito PMA, già dal 1996 (Legge 675/96) espleta i diritti del paziente con un consenso informato (Art. 13). I medici conoscono questa prassi da molto prima che si istituisse la stessa Autorità Del Garante a P.za Monte Citorio in Roma. Eppure, la informativa e/o il consenso sono misure minime che non manlevano dagli altri obblighi previsti per la redazione di un DPS (Documento Programmatico della Sicurezza). Naturalmente, nei casi in cui un CPMA fa parte di una struttura più grande come ad esempio un ospedale, la documentazione sarà ridotta ad un semplice documento di contitolarità con il quale il responsabile di struttura recepisce la politica generale. Nel caso di utilizzo del supporto informatico di rete, adotta e si conforma con il Disciplinare Tecnico dell’Allegato B del Dlg.196/03 acquisito dall’ Amministratore di Sistema (Provv. G.U. n. 45 Feb 2009), altro requisito soggetto a sanzione.

Sicurezza dei lavoratori

In termini organizzativi è raccomandabile integrare il SDQS in modo analogo a quanto visto per il Documento Programmatico della Sicurezza (DPS previsto dal Dlgs196/03) anche per il Documento di Valutazione dei Rischi come prescritto dal Dlgs 81/08 (ex lege Dlgs 626/94). In pratica, il SDQS per la PMA dovrà includere un riferimento al Documento di valutazione dei Rischi (VDR previsto dal Dlg 81/08). In effetti, nell’ambito delle registrazioni del personale, non è possibile eludere un riferimento alla formazione per i rischi e l’uso dei Dispositivi di Protezione Individuali (DPI).

Dimostrare un avvenuto addestramento per le manovre dei campioni in prossimità di un contenitore di azoto liquido è mandatorio anche in considerazione delle implicazioni infettivologiche della manipolazione di campioni non sierologicamente indenni (Dlg 16/10, Sez B p.6.1.2 LG CNT, 2007; Sez. C p1.1 LG CNT) Uno slogan commerciale legato alla formula 1 che andò molto di moda nel 2000 recitava : i migliori vanno con i migliori. In merito è molto importante comprendere che tutti gli aspetti di sicurezza sopra trattati vanno considerati non solo in termini interni ma anche, e forse maggiormente, in termini esterni. Ricordiamo che la Sez. A p. 8 delle linee guida del CNT fa riferimento esplicito e mandatorio all’obbligo di stipulare convenzioni e accordi di semi lavorazioni solo con soggetti e/o istituti le cui strutture dimostrino un livello di qualità e sicurezza commensurabile al proprio. La resitenza di una catena di acciaio AISI 430 con un anello di allumino è quella dell’alluminio.


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PMA dilemma : Certificazione si, certificazione no

Salvo Reina

E’ diffusa l’opinione che per un CPMA lo sviluppare un sistema di qualità e sicurezza, e quindi l’acquisire conformità con i requisiti di legge, significhi avere un sistema di certificazione ISO9001. In merito è opportuno sgombrare il campo da malintesi ed equivoci. Alla domanda “devo avere un sistema ISO9001 ?“, la risposta oggettiva è : non necessariamente.

Constatiamo che il sistema di gestione qualità prescritto nell’ articolo 16 non cita alcuna norma contrattuale (Es.: BS – British Standard; ISO – International Standards Organization). D’altra parte la cogenza della legge è inibitoria e caducante, cioè non soggiogata alla adozione di alcuna certificazione giacchè contiene in se tutti i dettami e i termini di conformità. In strictu senso, è inesatto parlare di una “certificazione per la PMA”, perché ciò che è mandatorio per legge non si certifica. Tornando specificamente alla risposta di inizio paragrafo, una certificazione ISO9001 può di per sé essere una prerogativa favorevole, tuttavia esaminiamo almeno tre ragioni perché le quali non costituisce una condizione “necessaria”. Un Responsabile di Struttura può considerare approcci alternativi per così dire “ISO-like”.

Ambito ed edizione : Una certificazione ISO9001 ha un ambito di applicazione. La quasi totalità delle certificazioni di sistemi ISO9001 regolano ambiti di gestione amministrativa. Avere una buona fatturazione e/o un ottimo sistema contrattuale con le SLA (Service Level Agreement) dei fornitori, è apprezzabile ed è anche indice di buona prassi ma non ha alcuna valenza ai fini della performance del Centro di PMA nei termini richiesti dal Dlg 191/07. In sostanza, bisogna considerare cosa si sta certificando.

E’ noto che l’evoluzione delle norme di qualità della famiglia ISO9000 è seguita in Italia dalle UNI (Ente Italiano di Unificazione). Una certificazione è correttamente indicata da un infisso che ne determina la edizione; ad esempio UNI EN ISO 9001:2005 indica la revisione della norma del 2005 (più nota come vision 2000 dal comitato tecnico ISO)

Ebbene, prima del 2005, la certificazione ISO9001 non prevedeva l’audit e il miglioramento continuo (Ciclo di Deming). In conclusione, anche per coloro che già hanno un sistema qualità e pensano di poterlo adottare tout court, è consigliabile controllare che sia recepibile.

Percorso occulto : dalla certificabilità alla certificazione Supponiamo di avere un supporto consulenziale serio e competente che ci propone la certificazione; analizzando il processo PMA correttamente per progettare uno schema virtuoso ISO9001, specifico per la PMA, comunque si dovrà considerare la tempistica necessaria al raggiungimento della certificazione. Come è noto nelle certificazioni si intraprende un percorso di prassi propedeutiche dovute a passi formali e irrinunciabili. Quindi attenzione ai tempi di messa a regime di un SQG perchè prima di poterlo dimostrare e rivendicare, un sistema lo si deve certificare.

Chi ha chiesto un preventivo ad una società di consulenza probabilmente avrà già constatato che a costi e tempi di implementazione del SGS ISO-9001 si sommano quelli di integrazione con le direttive PMA, quelli di mantenimento del sistema (su base annuale) e non ultimo quelli delle visite ispettive e licencing (ente di terza parte).

Integrazione a prescrizioni vigenti applicabili :

Una certificazione implica la soddisfazione delle prescrizioni di legge mentre non è il contrario.

Concretamente, l’ambito di un ISO9001, seppure meticolosamente mirato al ciclo e al processo del CPMA che lo adotta, non necessariamente tutela la struttura per i requisiti del trattamento dei dati sensibili (Dlg196/03). Se in un CPMA esiste un network informatico (anche non collegato ad Internet), allora dovremmo pensare di certificare il centro anche per le ISO27001 (sicurezza dato informatico). Infine, se il centro fa riferimento ad una struttura nosocomiale ospite (pensiamo agli ospedali pubblici), è possibile che le informazioni relative ai cicli di PMA (o parte di esse) rientrino nella erogazione di servizi informatici/telematici. Dovremmo allora per coerenza pensare anche ad una certificazione ISO20000. Dobbiamo davvero certificare tutto ? Sappiamo che non è cosi, e sappiamo che gli ispettori ASL/CNT potranno constatare se o meno esiste una o più certificazioni, ma di per sé questo fatto non è oggetto suscettibile di “non conformità”. Altri sono gli aspetti della check-list per il controllo ai fini del Dlg191/07.


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Come affrontare le politiche di Qualità e Sicurezza nel Centro PMA

Salvo Reina

Politiche dei ruoli e delle responsabilità : formazione e aggiornamenti tecnologici In qualunque sistema qualità è prioritario avere un committment chiaro e formalizzato dalla proprietà. Una politica della qualità ufficiale (o più politiche di settore nei casi di nosocomi pubblici con dipartimenti separati), deve essere sottoscritta con un mandato formale corredato e supportato da una pletora di documenti di delega e di nomina per ognuno dei ruoli previsti. Smitizzando e semplificando, una struttura ha in genere una carta dei servizi nella quale troviamo già un testo della politica della qualità (anche solo una semplice declamazione di principi), con un organigramma, un inventario dei servizi e auspicabilmente un sinottico delle responsabilità e dei ruoli del personale.

Nei centri di maggiore consistenza e fama, possiamo trovare anche un annual report nel quale sono descritti i criteri di audit e misurazione della qualità, un piano di miglioramento continuo con obiettivi e impegni programmati. Un consulente di seconda parte, molto spesso non deve reinventare, semplicemente adotta e revisiona documenti già disponibili e attività comunque svolte (Es. compagine dei ruoli sanitari).

Per il quadro normativo, un CPMA deve avere un responsabile di struttura, un responsabile di laboratorio e uno del sistema qualità.

Se appare ovvio il perché i primi due ruoli debbano essere necessariamente attribuiti a persone diverse, risulta meno immediato il formalismo con il quale questi ruoli devono essere nominati (Art. 17). La formalizzazione di una delega con a tergo un foglio di nomina e/o incarico, è il modo migliore di dimostrare una atto “per iscritto” (dati autenticati della persona e corrispondente firma in calce all’incarico).

Anche se certamente non vincolante per la norma ai fini di una ispezione, questo aspetto non è marginale. Si pensi alla indesiderata ipotesi di una controversia e/o disputa legale con una coppia che, ad esempio, denunci anche solo presuntivamente, di aver subìto un mix up (non è importante in questo contesto sapere quale!).

Sappiamo che la responsabilità ultima è quella del Responsabile di Struttura, eppure il problema potrebbe essersi verificato durante la routine laboratoristica del campione, o quella embriologica o ancora, nella fase di etichettatura e tracciabilità della criopreservazione.

Quale che sia lo scenario, la posizione della struttura sarà difendibile solo se tutte le corresponsabilità di ruolo nei vari ambiti di competenza sono dimostrate per iscritto. Attenzione ad utilizzare le stesse prassi per tutte le altre figure e i ruoli di collaboratori deputati al funzionamento del processo nel suo complesso (o di uno dei sottoprocessi). Tutti gli operatori, anche quelli con mansioni accessorie (Es segretariali con i pazienti, attività di pulizia, manutentive e approvigionamenti vari), devono avere documentata esperienza, comprovato livello di aggiornamento nella mansione ricoperta e un incarico per iscritto (attenzione alla “doppia copia” dell’originale). Alla documentazione cui si alludeva nel paragrafo precedente, verranno quindi allegati documenti quali : curricula, attestati, verbali di intervista ed estratti di incontri formativi (previsti anch’essi dalla legge all’ Art. 18). Mai dimenticare che sottesa alla strutturazione delle risorse umane esiste l’intera politica di formazione e informazione; questa, a sua volta, è allineata con l’aggiornamento tecnologico e porta alla consapevolezza della rilevanza del proprio operato nei confronti di un flusso complessivo di tutta l’attività del CPMA (politica di sensibilizzazione; sez B p. 3.1 LG CNT).

Evidentemente, nel documentale del sistema ci saranno anche gli attestati e quant’altro utile a dimostrare il grado di accreditamento dei profili personali.